Navboost

Cos'è Navboost e come influenza i risultati su Google

Navboost è uno degli algoritmi più discussi e potenti mai associati a Google, progettato per perfezionare i risultati di ricerca in base al comportamento reale degli utenti. Il suo obiettivo principale è migliorare le pagine dei risultati (SERP), in particolare quando l’utente cerca qualcosa di specifico, come un brand o un sito web preciso — ovvero nelle cosiddette query navigazionali.

Ciò che rende Navboost particolarmente interessante, è il modo in cui analizza le interazioni successive al clic: osserva cosa fanno gli utenti dopo aver scelto un risultato, tracciando clic, scroll, passaggi del mouse e persino swipe da dispositivi mobili. Ogni gesto è un segnale che contribuisce a misurare quanto una pagina abbia soddisfatto davvero l’intento dell’utente.

A differenza di altri fattori di ranking che agiscono in fase di indicizzazione, Navboost entra in gioco solo dopo che l’utente ha cliccato su un risultato. È un segnale di ranking reattivo, costruito sulle azioni reali dei visitatori, e per questo sempre più rilevante nel definire quali pagine meritano di emergere in cima ai risultati di ricerca.

Come funziona Navboost

Navboost osserva attentamente il comportamento degli utenti quando interagiscono con i risultati organici classici della ricerca Google. Clic, scroll, passaggi del mouse e swipe diventano segnali tracciabili per comprendere se un risultato ha davvero soddisfatto le aspettative dell’utente.

Ma il monitoraggio non si ferma alla SERP: secondo varie fonti, l’algoritmo potrebbe anche analizzare ciò che avviene dopo il clic, direttamente sulla pagina visitata. In questo caso, Google potrebbe raccogliere dati tramite browser come Chrome, valutando quanto tempo l’utente resta sul sito, quanto si mostra coinvolto e se decide di tornare ai risultati di ricerca.

Tutte queste informazioni vengono archiviate e analizzate su base continuativa, con uno storico che copre fino a 13 mesi. L’obiettivo è chiaro: premiare le pagine che risultano realmente utili e pertinenti per chi cerca. Se un sito riceve clic significativi e dimostra di mantenere alto l’interesse dell’utente, Navboost potrebbe contribuire a migliorare il suo posizionamento. Al contrario, contenuti che deludono o vengono rapidamente abbandonati rischiano di scivolare in basso nei risultati.

Navboost non guarda solo alla quantità di traffico, ma alla qualità dell’esperienza che ogni clic porta con sé.

Da dove arriva Navboost? Il caso antitrust e i documenti trapelati

Navboost non è stato annunciato pubblicamente da Google, ma è emerso tra le pieghe di una delle più importanti battaglie legali degli ultimi anni: il processo antitrust tra il colosso di Mountain View e il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti.

Il procedimento, avviato tra il 2023 e il 2024, ha accusato Google di pratiche anticoncorrenziali e abuso di posizione dominante nel settore della pubblicità digitale. È in questo contesto che il nome Navboost è comparso per la prima volta nei documenti processuali, offrendo uno sguardo inedito su uno degli algoritmi più riservati mai concepiti dall’azienda.

Ma non solo. Nel maggio 2024, un’importante fuga di documenti interni di Google ha confermato ulteriormente l’esistenza di Navboost, descrivendolo come un segnale integrato in un sistema più ampio chiamato Craps. Quest’ultimo ha il compito di analizzare il comportamento degli utenti attraverso metriche come clic, impression e interazioni qualitative.

Secondo quanto emerso, Navboost non si limita a contare i clic, ma li classifica in base alla qualità e alla rilevanza: clic buoni, clic cattivi, clic duraturi (last longest click), clic non compressi (unsquashed click), e varianti combinate. Il sistema considera anche la posizione geografica e il dispositivo utilizzato, distinguendo ad esempio tra utenti desktop e mobile. I dati vengono conservati per 13 mesi, permettendo un’analisi longitudinale molto dettagliata.

È bene sottolineare, però, che Google non ha mai confermato ufficialmente l’esistenza di Navboost: tutte le informazioni disponibili derivano da fonti indirette, tra cui atti legali e documenti non destinati alla divulgazione pubblica. Una delle fonti principali è la trascrizione ufficiale del processo antitrust del 18 ottobre 2023, disponibile in PDF a questo link.

Qual è l’impatto di Navboost sulla SEO?

Navboost ha cambiato il modo in cui Google valuta il successo di una pagina nei risultati di ricerca: non basta più posizionarsi in alto, bisogna anche soddisfare davvero chi clicca.

L’algoritmo raccoglie segnali che rivelano se gli utenti hanno trovato utile la pagina visitata. Google osserva il comportamento post-clic per capire se il contenuto risponde all’intento di ricerca e se offre un’esperienza fluida e soddisfacente. In questo scenario, concetti come search intent e user satisfaction non sono più solo teorie SEO, ma diventano fattori reali di posizionamento.

Per chi pubblica contenuti online — blogger, aziende o redazioni — il messaggio è chiaro: curare l’esperienza dell’utente è diventato imprescindibile. Le pagine che rendono semplice la navigazione, che presentano contenuti chiari, utili e coerenti con ciò che l’utente cercava, sono quelle che Navboost tende a premiare.

In pratica, Navboost agisce come un “filtro di qualità”: se il sito risponde all’intento di ricerca dell’utente e lo fa bene, le probabilità di ottenere maggiore visibilità aumentano. Se invece delude, l’algoritmo lo registra — e può penalizzarlo.

Tipi di interazioni considerate da Navboost

Uno degli aspetti più affascinanti di Navboost è la sua capacità di distinguere tra diverse tipologie di clic, andando oltre il semplice conteggio numerico. L’algoritmo non si limita a registrare che un utente ha cliccato su un risultato: cerca di capire che tipo di clic è avvenuto e cosa ha significato quell’interazione per l’utente.

Di seguito una panoramica dei segnali più noti, strutturata in modo chiaro:

Tipo di ClicDescrizione

Clicks

Il conteggio totale dei clic ricevuti da un risultato nei motori di ricerca. Non fornisce indicazioni sulla qualità dell’interazione né sull’effettiva utilità del contenuto per l’utente.

Bad Clicks

Interazioni che portano a una cattiva esperienza. Spesso l’utente torna subito alla SERP perché il contenuto non risponde all’intento di ricerca o risulta fuorviante.

Good Clicks

Clic che generano un’esperienza positiva: l’utente resta sul sito, trova ciò che cercava e interagisce con i contenuti. Sono segnali di rilevanza e qualità.

Last Longest Clicks

Si riferisce al clic finale e più duraturo all’interno di una sessione di ricerca. Indica che il contenuto ha pienamente soddisfatto l’utente, che vi ha trascorso molto tempo senza tornare alla SERP.

Unsquashed Clicks

Clic considerati “genuini” e non distorti da segnali anomali o attività sospette. Possono essere utilizzati per distinguere l’attività umana da quella automatizzata (bot).

Unsquashed Last Longest Clicks

La combinazione più potente: un clic autentico che ha portato a un contenuto fortemente soddisfacente per l’utente. Rappresenta uno dei segnali di ranking più efficaci secondo le fonti disponibili.

Perché comprendere Navboost è cruciale per chi fa SEO

Oggi fare SEO non significa solo “posizionarsi in alto”, ma capire cosa accade dopo il clic dell’utente. E Navboost è la chiave di lettura di questo cambiamento.

In un ecosistema sempre più centrato sull’esperienza dell’utente, Google utilizza algoritmi come Navboost per premiare i contenuti che non solo attraggono clic, ma riescono davvero a rispondere all’intento di ricerca. Questo significa che la qualità percepita dall’utente è diventata un segnale di ranking a tutti gli effetti, osservabile nei dati di comportamento.

Per chi lavora nella SEO, questo cambia radicalmente l’approccio: non basta ottimizzare per le parole chiave, serve costruire pagine che trattengano, coinvolgano e soddisfino. Significa concentrarsi sulla struttura del contenuto, sulla velocità, sull’accessibilità mobile e sulla chiarezza dell’informazione. E soprattutto, capire che ogni clic è un segnale, non un traguardo.

Navboost ci ricorda che la vera SEO oggi è una SEO che ascolta l’utente.


FAQ - Domande e Risposte

Navboost si attiva soprattutto nelle ricerche dove è possibile monitorare l’interazione dell’utente con i risultati organici, come le query navigazionali o quelle con pattern di clic ricorrenti.

No, Navboost analizza solo il comportamento degli utenti nei risultati organici. Gli annunci sponsorizzati seguono logiche di ranking differenti basate su qualità dell’annuncio e offerte.

Strumenti come Google Analytics 4, Search Console e Hotjar permettono di valutare l’esperienza post-clic, utile per stimare la qualità percepita di una pagina secondo logiche simili a quelle di Navboost.

. Migliorare l’esperienza utente, il tempo di permanenza e la coerenza tra contenuto e intento di ricerca aiuta indirettamente a ottenere segnali positivi per algoritmi come Navboost.

Non è confermato ufficialmente, ma secondo documenti emersi durante il processo antitrust USA vs Google, le pagine che deludono frequentemente l’utente possono perdere visibilità nel tempo.


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Pesaro Web

Ciro Scopece

SEO Specialist e sviluppatore WordPress con oltre 5 anni di esperienza nella realizzazione di siti performanti e ottimizzati per la Ricerca Google. Partner certificato Google Ads.